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TRATTO DA SLICK #5 – uscito nel febbraio 2020

È ormai autunno, ma sembra ancora estate. È la fine del campionato, ma sembra l’inizio: due piloti sono praticamente appaiati, in vetta alla classifica. C’è un solo punto, a dividere Colin Edwards e Troy Bayliss, e si fatica a credere che sei mesi di combattimenti e 24 battaglie non siano stati sufficienti ad indicare il favorito per la conquista del titolo. Nessuno può prevedere il finale, a due sole manche dal termine. E il 29 settembre, giorno di chiusura del campionato, è ormai alle porte. 

L’americano Edwards e l’australiano Bayliss hanno corso un campionato a parte: delle ventiquattro manche già disputate, loro due ne hanno vinte ventitré. Un solo pilota, e per una sola volta, è riuscito ad inserirsi in questa lotta: il giapponese Makoto Tamada che ha vinto Gara1 a Sugo, la sua gara di casa. Per il resto, Troy ha conquistato quattordici manche e Colin undici. Rimangono Gara1 e Gara2 del round di Imola, e il divario è così esiguo da imporre ai rivali l’obbligo di rischiare e dare tutto. 

Colin Edwards ha stravolto i pronostici, che in estate davano per sicuri vincitori Troy Bayliss e la Ducati 998F02, rendendosi autore di una rimonta clamorosa che lo ha portato ad annullare uno svantaggio di 58 punti: così al round finale il texano si presenta come nuovo leader di classifica, dopo che nella prova precedente Troy è finito per la prima volta al tappeto. Sì, è andato giù, dunque la tattica di Colin, che consisteva nel tenerlo sotto pressione fino a farlo sbagliare, ha portato i suoi frutti: ad Assen, nella penultima gara della stagione, Troy è caduto in Gara 2, mentre Colin ha vinto. È lì, che Edwards ha completato la sua rimonta, iniziata in luglio con una determinazione stupefacente.  

Dunque si va verso Imola con Edwards carico e fortificato, e con Bayliss un po’ abbattuto. Tuttavia Colin resta guardingo: «Troy è un pilota fantastico, qualunque cosa gli sia successa prima, darà tutto. Sono pronto per la battaglia, ma prima di parlare bisogna finire il lavoro». Già, il lavoro lo ha iniziato nella prima fase della stagione, quando Troy picchiava forte e lui non riusciva a reagire. Si era chiuso nell’angolo, stava alle corde, incassava colpo su colpo e si era imposto di non crollare, quindi di restare in piedi in attesa del suo momento. 

Ad un certo punto l’ha spiegato pure ai vertici della HRC, in luglio, quando è andato a fare il suo dovere alla 8 Ore di Suzuka. La gara a cui la Honda tiene di più. Edwards ha vinto in coppia con il talento che la Honda sta allevando – Daijiro Kato – bissando così il successo ottenuto nel 2001, quando era in coppia con Valentino Rossi. Colin ormai da alcune settimane chiedeva aiuto alla HRC: aveva spiegato che la Ducati aveva compiuto grandi sforzi all’inizio di stagione, ma il titolo non era ancora perduto dunque serviva una reazione. E il vertice della HRC ha accettato di aiutarlo nella sua impresa, la conquista del Mondiale Superbike, così sulla VTR1000SP-2 ufficiale – chiamata anche RC51 – sono arrivati un motore evoluzione, la nuova forcella Showa, un lubrificante inedito (prodotto dalla Castrol) ed è stata eseguito un generale lavoro di messa a punto. Ecco perché dopo la tappa tedesca, Colin aveva affermato: «Sto guidando una moto fantastica!». 

Se n’erano accorti anche in Ducati, che tra luglio e agosto la Honda di Edwards era cambiata. A Laguna Seca, Colin aveva improvvisamente vanificato gli attacchi di Bayliss, cosa che non era mai accaduta fino a quel momento. Era successo proprio il contrario: Colin non era riuscito a reggere il passo del ducatista. Poi, d’un tratto, dopo il trionfo di Edwards a Suzuka, i ruoli si erano invertiti: Colin ha vinto sette gare consecutive e ha colmato lo svantaggio. Ed ora, mentre la SBK viaggia verso Imola per il gran finale, è Troy che insegue. 

«Siamo nella posizione che meritiamo», afferma Colin con sicurezza. «Come team, abbiamo sempre creduto di poter vincere, anche quando non riuscivamo a battere Troy e la Ducati. Abbiamo resistito, in attesa della riscossa. Ora siamo alla resa dei conti e voglio mantenere lo slancio: voglio vincere le due manche anche a Imola». 

«Devo ricominciare da capo» è il commento di Troy. «È come se ripartissimo da zero, tutto il lavoro che abbiamo fatto prima è stato inutile. Sono abbastanza arrabbiato con me stesso, per la caduta di Assen, ma non posso fare niente per cambiare la situazione. Devo solo affrontarla. E lotterò fino alla fine». 

Bayliss, per la prima volta, inseguire. Ma la cosa peggiore non è lo svantaggio – in fondo si tratta solo di un punto – quanto l’aver visto esaurirsi lentamente la sua superiorità. Arriva al round finale dopo che da due mesi subisce l’avversario, senza riuscire a reagire. Ora è lui, che sta incassando colpi mentre si trova alle corde. 

Anche l’opinione pubblica è scettica nei suoi riguardi, ma la sua squadra non l’ha abbandonato: il Team Ducati ha deciso di portare a Imola le magliette celebrative per il titolo. La squadra ci crede ancora. 

Le due squadre hanno deciso di rifinire in Italia, la preparazione per l’ultima sfida, ma Colin ha tratto un vantaggio anche in questo caso: ha potuto provare a Imola, quindi ha preparato la gara direttamente sulla pista in cui si combatterà l’ultimo round. Troy invece è dovuto andare al Mugello. Non è stata un’ingiustizia, ma la conseguenza di scelte fatte dalle due squadre prima dell’inizio del campionato. «Dovevamo indicare le piste su cui avremmo potuto provare privatamente» spiega Neil Tuxworth, il team manager del team Castrol Honda, figura leggendaria per il motociclismo britannico. «Abbiamo scelto Misano, perché è una pista impegnativa per la nostra moto; poi abbiamo optato per Imola, per tenerci questa carta nel caso in cui il campionato si fosse risolto proprio all’ultima gara». È la conferma che l’impressionante recupero di Colin e della Honda è il frutto anche di ragionamenti. 

La mattina di domenica 29 settembre Imola è stracolma di colori, rumori, energia e tensione. C’è nell’aria la certezza che non sarà una gara come le altre. Sarà un evento di cui si parlerà per anni e anni. E nessuno teme che ci saranno scorrettezze tra le due leggende della Superbike. Sono tutti certi del fatto che Colin Edwards e Troy Bayliss, pur essendo gente che non va per il sottile quando c’è da frenare tardi e farsi largo in ingresso curva, sanno entrambi cosa sia il rispetto. 

Qualcuno ricorda un episodio di dodici mesi prima, avvenuto sempre a Imola, sempre con loro protagonisti. Quando Bayliss, a titolo già conquistato, cadde e si procurò la frattura di una clavicola, a riportarlo nel suo box fu proprio Edwards: lo caricò sulla sua Honda e poi si mise a guidare in piedi sulle pedane, tutto in avanti, sopra il serbatoio, in modo da garantire lo spazio a Troy. Quindi, sì, sono tutti d’accordo: Imola 2002 sarà una gara durissima, ma sarà un combattimento leale. 

Impossibile prevedere chi vincerà. Troy e Edwards sono allo stesso livello dal punto di vista della capacità di guida, della determinazione, dell’esperienza. Il loro duello è anche il confronto tra due stili di guida diversi: Colin è più fluido e Troy più aggressivo, Colin porta molta velocità dentro la curva e Troy è fortissimo in frenata. In una situazione di tale equilibrio, la differenza potrebbe farla la capacità di gestire la pressione e la tensione. 

La mattina del 29 settembre l’autodromo di Imola è invaso da un fiume umano. C’è chi ipotizza addirittura centomila persone, e sbaglia di poco: saranno più di novantamila all’ora dell’inizio di Gara1. È un’adunata. Il popolo delle corse si riunisce per essere testimone della Storia. 

Mentre i team dispongono le moto sulla griglia di partenza, i due contendenti si cercano e si trovano. È Troy, oggi, a rivelare questo retroscena: «Prima di Gara1, io e Colin ci siamo guardati negli occhi e ci siamo fatti un cenno in cui c’era tutto. Ognuno di noi ha capito. Eravamo alla resa dei conti». E così sarà.  

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