TRATTO DA SLICK #10 – uscito nel dicembre 2020
Non è stato l’acquisto della Harley Davidson italiana, passaggio che diede il via alla storia motociclistica della Cagiva, a far nascere nei fratelli Castiglioni l’amore per i Gran Premi e le corse motociclistiche. La loro passione è precedente, sviluppata nell’adolescenza e nella giovinezza, quando attaccati alle reti dell’autodromo di Monza sognavano di potere montare in sella ai bolidi a due ruote che sfrecciavano davanti ai loro occhi. Il successo dell’azienda di famiglia, che prende il nome dal padre, Castiglioni Giovanni, Varese, nella metà degli Anni Settanta li portò ad avere accesso al paddock dei GP e a vivere da dentro l’ambiente, i mezzi, i personaggi che tanto li affascinavano, ed anche ad allargare il proprio coinvolgimento alle prime sponsorizzazioni personali di alcuni piloti per i quali nutrivano particolare simpatia.
Questa passione e il desiderio di essere protagonisti nel mondo della moto sono stati determinanti per l’acquisto della Aermacchi Harley Davidson nel 1978, lo stesso anno in cui la Cagiva si schierò al via del Mondiale con la squadra corse che schierava due dei più amati piloti italiani: Gianfranco Bonera e Marco Lucchinelli in sella alle Suzuki 500 e alle Yamaha 750. Un’iniziativa che regalò loro la gioia del podio iridato con Lucchinelli, terzo nel GP Italia al Mugello, ma soprattutto l’emozione di guidare finalmente quelle moto da corsa che tanto li affascinavano.
A fine campionato le Suzuki 500 vennero vendute al pilota scozzese Alex George, ma prima della consegna i due “monelli” decisero di farsi una sparata sul Lungolago, la strada che costeggia il lago di Varese, sede storica della Cagiva. Avevano le chiavi del reparto corse, nessun tecnico era al lavoro, le moto erano lì a disposizione… La bravata non finì benissimo, perché i due fratelli si preoccuparono di fare il pieno di benzina, ma non di mettere l’acqua nel radiatore, così le Suzuki 500 arrivarono al loro nuovo padrone con il motore grippato.
Questo pizzico di follia che li accomunava è stato di grande supporto al piacere della sfida messo in mostra dai Castiglioni nel corso della lunga avventura motociclistica che li ha portati a spaziare dalla velocità al cross, dai rally alla Superbike, ed a vincere in tutti i campi in cui si sono misurati, perfino nel Mondiale 500 dove la sfida era più difficile.
La prima 500 italiana debuttò al GP Germania del 1980 con Virginio Ferrari. Aveva motore 4 cilindri in linea, una linea non proprio filante e inevitabili problemi di gioventù. Vedendola correre sull’interminabile tracciato del vecchio Nurburgring, Gianfranco mise a conoscenza il fratello Claudio di quello che era il suo sogno: «Pensa che bello sarebbe riuscire a battere i giapponesi. Il loro potere economico e politico mi spaventa, sono fortissimi, eppure noi dobbiamo farcela. Pensa che bello sarebbe un giorno vedere nel cielo i fuochi d’artificio che scrivono il nome Cagiva».
Tanti sogni, ma anche concretezza industriale e capacità di guardare oltre, di immaginare il futuro, di scegliere gli uomini giusti e fare le mosse giuste. L’acquisizione della Ducati, a metà degli Anni Ottanta, fu determinante per il successo dell’Azienda, che ebbe così a disposizione i motori per cimentarsi con cilindrate più sostanziose nella produzione di serie e per affrontare da protagonista Parigi-Dakar e Mondiale Superbike.
La nuova sfida rappresentò in qualche modo uno spartiacque per gli interessi sportivi dei fratelli: Gianfranco più legato ai motori a 4 tempi ed alle derivate di serie, Claudio votato ai Gran Premi ed alla 500, anche se in più occasioni i ruoli si mescolavano… non sempre a fin di bene. Un esempio? Nel 1988 il reparto corse decise di costruire una 125 monocilindrica per il Mondiale 125 che venne affidata a Pierpaolo Bianchi e allo scozzese Mc Connachie. L’esperienza durò fino al giorno in cui Gianfranco Castiglioni ne chiese conto al direttore sportivo, Carlo Pernat, convocandolo nel proprio ufficio.
“Noi abbiamo una 125? – chiese in tono niente affatto conciliante – noi facciamo la 125?”. La domanda non cercava risposta, era soltanto una premessa ad una decisione già presa, comunicata senza troppi giri di parole: “Buttatela nel lago. La Cagiva fa solo la 500!”.
E la Cagiva la faceva, la 500, a modo suo. Mentre i giapponesi non disdegnavano di coprire parte delle spese legandosi ad aziende extrasettore, i fratelli sulla carenatura della Cagiva non volevano sponsor, loro la moto la volevano rossa. Rossa e basta. E la stessa mancanza di interesse che nutrivano per le categorie “minori” dei GP, sul fronte della produzione l’avevano per gli scooter. Nel momento d’oro, quello in cui le strade italiane ne erano piene e se ne vendevano centinaia di migliaia l’anno, loro non ne vollero sentirne parlare. Sì, è vero, qualche cinquantino Cagiva in giro si vide, ma erano assai pochi e frutto di un compromesso: si trattava di oggetti d’importazione ai quali venne concesso il marchio controvoglia.
Per raggiungere l’obiettivo di vincere in 500 i fratelli Castiglioni cercarono sempre di affidare la loro moto ai migliori piloti sulla piazza, cosa che li portò ad inseguire invano Kenny Roberts, leggendario protagonista di un test a porte “socchiuse” a Misano, con tempi record e parole incoraggianti, poi arrivò Randy Mamola, il più istrionico e meno concludente della nutrita pattuglia a stelle e strisce. Suo il primo podio, al GP Belgio del 1988 a Spa – Francorchamps sul bagnato, dove era un mago. Al ritorno a Varese venne accolto con la fanfara. Un bel momento tra tante delusioni: la scelta nazionalistica delle gomme Pirelli si rivelò infatti perdente e causa di rimpianti, perché la Michelin aveva offerto le sue gomme ufficiali, con le quali i risultati potevano essere molto diversi. Quando alla scadenza del contratto i vertici Cagiva si presentarono in Francia con le orecchie basse… si videro sbattere la porta in faccia. Le gomme c’erano, ma standard e a pagamento.
Un aiuto venne invece dai giapponesi, ben felici di avere un contender europeo al quale offrirono un significativo supporto tecnico, fatto di pezzi che altrimenti sul mercato europeo sarebbe stato impossibile reperire. Non a caso furono proprio i giapponesi a volere Claudio Castiglioni alla presidenza della MSMA, l’Associazione dei Costruttori impegnata nei Gran Premi, che ebbe come Industrie fondatrici Honda, Yamaha, Suzuki e Cagiva.
Con Eddie Lawson, approdato a Varese a fine carriera, nel 1992 arrivò l’agognato successo. Accadde nel GP Ungheria a Budapest, complice una scelta di gomme azzardata e vincente su una pista bagnata che sarebbe andata asciugando. Il primo trionfo, non l’ultimo. Gli altri li avrebbe firmati John Kocinski, arrivato a metà 1993 a regalare ai fratelli Castiglioni le soddisfazioni inseguite per più di dieci anni. Peccato che proprio nel corso del Mondiale 1994, apertosi con la vittoria di Kocinski ad Eastern Creek in Australia, e chiuso con l’americano al terzo posto della classifica generale, Claudio Castiglioni annunciò la rinuncia della Cagiva al Mondiale. Non era più tempo di spese pazze.
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