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TRATTO DA SLICK #9 – uscito nell’ottobre 2020

Pensateci. La Honda risultò perfetta per la MotoGP allo stesso modo in cui la MotoGP si rivelò l’ideale palcoscenico per quel progetto clamoroso che prese il nome di RC211V e che divenne il simbolo della Nuova Era. 

Nessuna azienda interpretò così bene il Regolamento Tecnico, né investì così tante risorse umane, finanziarie e organizzative. Nessuna si presentò all’appuntamento con la Storia con tale puntualità, cioè nelle condizioni di esibire prestazioni eccezionali. Vale a dire esattamente con ciò di cui necessitava la MotoGP per archiviare in fretta il glorioso e ingombrante passato della Classe 500. 

Del resto, all’inizio del terzo millennio c’era da fare una rivoluzione – bisognava creare la Formula 1 delle moto – e la Dorna, da sola, non ce l’avrebbe fatta: per un ribaltamento di tale portata aveva bisogno di un gigante che la sostenesse, e quando si tratta di lasciare il segno non c’è un partner più potente della Honda Giken Kōgyō Kabushiki Kaisha.

Honda, Yamaha, Suzuki e Aprilia formarono il gruppo della prima ora, erano cioè presenti già all’avvio del 2002. La Kawasaki si unì nella parte finale della stagione. La Ducati arrivò nel 2003. Per la Dorna quello rappresentava uno schieramento da sogno: avere in griglia le quattro giapponesi insieme, più le due italiane maggiormente aggressive (mancava solo la Cagiva, che si era ritirata a fine 1994) significava disporre di ciò che di meglio proponeva, all’epoca, l’industria motociclistica impegnata nelle corse di Velocità. 

Interno SLICK#9 pagine 46 - 47

Ma la Honda si impegnò di più, il suo approccio fu differente. Infatti la RC211V fu il frutto di quella diversità che è insita nella mentalità degli ingegneri della Honda: si tratta di quella convinzione secondo cui bisogna saper fare la differenza nei momenti che contano. E il 2002 fu uno di quelli: le aziende concorrenti, arrivando leggermente in ritardo, permisero alla RC211V di diventare immediatamente la Regina della MotoGP. E nessuna l’ha più scalzata. 

Le altre Case pagarono un prezzo per aver deciso di essere prudenti. Invece la Honda scatenò il suo R&D, garantendogli il sostegno finanziario e morale degno delle grandi imprese, certa del fatto che il mondo adora chi sa osare. La Honda ha sempre sognato più in grande di tutte, perché non ha mai avuto paura di farlo. 

La RC211V è il simbolo della rivoluzione: perché raccolse il testimone dalla NSR500 vincendo subito (garantendo quindi un vero passaggio di consegne tra due regine), per le innovazioni che la caratterizzarono, per l’accuratezza con la quale venne progettata, per il modo in cui ha dominato e, infine, per le vicende che l’hanno coinvolta.

Quando si congedò dalle scene, alla fine del 2006, lo fece allo stesso modo in cui era entrata: da vincente. Aveva aperto e chiuso al vertice, la prima e fondamentale fase della Nuova Era. 

Questa meraviglia tecnologica – un autentico laboratorio attraverso il quale iniziò ad essere sviluppata la tecnologia che è così essenziale sulle moto di oggi – aveva vinto più di tutte le altre, per giunta con il maggior numero di piloti. 

In seguito anche le sue derivate – la 212 e la 213 – hanno vinto almeno un titolo mondiale, e ovviamente tutte le MotoGP hanno continuato ad evolversi e a migliorare le prestazioni; ma nessuna ha avuto lo stesso fascino della 211, la “5 cilindri” che resta l’opera più strabiliante realizzata (fino ad ora) da ingegneri del terzo millennio. 

Un riferimento non solo per la tecnologia, ma anche per la filosofia costruttiva. È vero che una cosa fatta bene può essere fatta meglio, ma la RC211V fu fatta benissimo e restò inavvicinabile. 

Il successo non è solo una vittoria nell’immediato, ma anche ciò che serve da ispirazione per gli altri. Ecco, la RC211V è stata tutto questo. In fondo è persino ovvio che abbia dominato, perché nei due anni (dal 2000 al 2002) in cui i Costruttori hanno scelto e poi realizzato il proprio progetto, la Honda è l’azienda che si è preparata meglio. 

Sì, è così che è andata: la Honda prima ha studiato le regole del gioco, poi ha giocato come nessun’altra.

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