TRATTO DA SLICK #14 – uscito nell’agosto 2021
BORGO PANIGALE – L’uomo che rende le Ducati più efficienti ispirandosi agli studi sulle auto da corsa e alla passione per gli aerei è un ingegnere aeronautico che parla con voce bassa ed una cadenza lenta, senza alterazioni rilevanti: Edoardo Lenoci, il Responsabile dello Sviluppo Aerodinamico in Ducati Corse, è un uomo che diffonde serenità. Di questi tempi potrebbe scagliarsi contro chi modifica i regolamenti quasi solo per rallentare la Ducati – mortificando quindi il suo lavoro, visto che è con lui che la Ducati ha fissato nuovi limiti nell’aerodinamica – ma quando viene provocato il massimo della rimostranza è questo: «Il sistema del regolamento in MotoGP è un po’ esotico».
Del resto, persino quando elenca le sue esperienze – ed è una lista da far gonfiare il petto – le descrive come se non vi fosse nulla che meriti almeno un po’ di enfasi: «Lavoravo in un’azienda che era nella zona in cui sorge la Ducati, e che non esiste più: era creata da un personaggio ex F1, Migeot, che aveva fondato la Fondtech (a Casumaro, in provincia di Ferrara) e la Aerolab (a Sant’Agata bolognese). Ha lavorato tanti anni in F1, dalla fine degli anni ’80 ai primi ’90, in Tyrrel, McLaren, Renault e Ferrari. Da quella esperienza, e con con un’aiuto da parte di Gabriele Rumi, che aveva la Fondmetal (produttrice di cerchi) ha creato nel 1993 una primissima galleria del vento. Ecco, io ho iniziato lì. Quindi dal 2002 al 2013 (in Fondmetal) ho lavorato sull’aerodinamica sperimentale sulle auto da corsa. Mi sono occupato di Formula 1, Nascar, la 24 Ore di le Mans, il DTM, la F3. Dopo il 2013 sono approdato in Ducati». Vi pare poco?
Comunque la calma è apparente, perché la battaglia sull’aerodinamica ha lasciato il segno: «Però è vero che i nostri competitor si sono lamentati della pericolosità di questo “oggetto” (le ali) quando loro non l’avevano, poi quando l’hanno avuto anche loro non era più pericoloso per nessuno. È un dato di fatto, non una congettura».
Appunto.
«La cosa secondo me un po’ strana, o curiosa, è il fatto che fino al 2016 aprendo il Regolamento FIM si sarebbe potuto leggere che una carenatura “poteva essere provvista di ali”. Cioè “ali”, identificate con il termine inglese “wing”, quindi non “sidepod” o altre definizioni. Il regolamento diceva che la larghezza della moto doveva essere fino a 100 mm, all’interno dei quali si potevano montare delle ali. Quindi era già tutto scritto: non è che abbiamo trovato un buco del regolamento e abbiamo messo le ali perché non c’era scritto niente; era specificata, quella parola».
E allora cosa è successo, dopo?
«Forse perché abbiamo cominciato ad avere dei risultati interessanti, altri competitor trovandosi indietro rispetto a noi hanno preferito mettere l’accento sulla pericolosità».
E la FIM ha dovuto intervenire.
«Sì, ma a livello regolamentare la FIM ha fatto sostanzialmente due cose: la prima è quella di avere creato questa sorta di profili (ali) che sono curvi all’interno, e che secondo me dal punto di vista della sicurezza non cambiano nulla. Che poi, tra l’altro, dal punto di vista di omologazione di prodotto non ci sono tutti questi problemi che ci sono stati in MotoGP, perché le superfici esterne vengono classificate in funzione dei raggi minimi (cioè di quanto sono spigolose) e questo è sufficiente per una moto di produzione. Mentre, come detto, per la MotoGP è stato un po’ stravolto il concetto di ala».
E la seconda cosa che ha fatto la FIM qual è?
«È stata quella di omologare lo sviluppo aerodinamico, nel senso che ci sono solo due omologazioni (due evoluzioni, o modiche) che possono essere fatte durante l’anno: perciò una la porti per la prima a gara, poi c’è la possibilità di un solo ulteriore aggiornamento».
Serve a limitare i costi, almeno così dicono.
«Sì, ma se andassi a fare una ricerca seria su quanto ci costa il millisecondo del tempo sul giro ottenuto per l’aerodinamica, e quanto costa quello ottenuto per lo sviluppo del motore, secondo me si troverebbero risultati molto diversi: cioè anche di un paio di ordini di grandezza».
La Ducati ha creduto in questa materia ben prima, e molto di più, rispetto agli altri: tu hai avuto un ruolo in questa scelta?
«Diciamo che provenivo da un mondo in cui c’erano tanti investimenti e conoscenze, perché l’aerodinamica nel mondo dell’auto è iniziata alla fine degli anni ’70. Quindi mi sono trovato a lavorare in un mondo molto diverso. Ho cercato di recuperare quello che avevo imparato, soprattutto a livello di metodologia, poi di applicarlo alle motociclette. Dal punto di vista aerodinamico se l’automobile è un corpo tozzo, la moto lo è ancora di più. Ci sono molte meno superfici, quindi si può incidere in maniera molto più limitata a livello di prestazione».
Si può che i due punti da cui partire, riguardo alla Ducati, potrebbero essere il 2010 e il 2015, viste le evoluzioni che sono state apportate in quei periodi?
«Allora, nel 2010 in effetti sono comparse le prime appendici aerodinamiche sulla Desmosedici. Io non ero ancora in Ducati, però mi ricordo che era un tema controverso nel senso che i piloti erano scettici. Poi nel 2015 sono comparse le prime appendici, diciamo così, di seconda generazione, e la fornitura completa si ebbe nel 2016».
E casualmente, dal 2017 cominciarono le limitazioni regolamentari.
«Sì, con due motivazioni: una era dovuta alla sicurezza in pista, l’altra al budget. Ma in realtà da li c’è stata poi una limitazione progressiva, anno dopo anno, e questo forse è andato oltre quei due temi principali: la limitazione era un po’ più orientata solo a quelle che potevano essere delle modifiche. Quindi il sistema del regolamento in MotoGP è un po’ esotico: ci sono tanti articoli ma poi c’è una clausola per cui comunque la responsabilità dell’approvazione passa per il direttore tecnico; ed è una cosa che, secondo me, non andrebbe scritta nei regolamenti».
Perché?
«Questa “approvazione” ad oggi non è ancora regolamentata. Voglio dire: come si fa a “vedere” il componente, forse è una foto oppure un disegno? L’indeterminazione di quel tipo di approccio ha fatto sì che ci fosse una limitazione progressiva sempre più stringente di quello che si può fare sulla moto. Un dato di fatto è che, al di là delle appendici, oggi anche un condotto di raffreddamento deve essere sottoposto a giudizio del direttore tecnico, cosa che prima delle ali non era assolutamente in discussione».
Quindi la polemica sulle ali ha generato maggiore attenzione, o tensione?
«Ecco, “tensione” mi pare corretto. Secondo me la motivazione di tutto è il fatto di non far diventare la MotoGP come la F1, dal punto di vista aerodinamico – cioè un veicolo molto complesso, poco riconoscibile dal punto di vista estetico, perché provvisto di tantissimi dettagli – ma io penso che sia un timore infondato. Il pilota che ha un ruolo essenziale, le moto hanno ancora prestazioni di un certo tipo quindi non è che si può pensare di aggiungere peso creando forme ipercomplicate come quelle che ci sono sulle auto di F1; cioè un veicolo che rolla pochissimo, con andature abbastanza costanti. Noi abbiamo a che fare con condizioni di guida completamente diverse, posizione del veicolo molto diversa: noi non ci possiamo spingere ad ottimizzare un’unica posizione del veicolo al suolo (come l’auto) creando chissà che cosa dal punto di vista delle appendici senza curarci poi del loro effetto in tutte le altre andature».
Partendo dal punto di vista dell’automobile: davvero l’aerodinamica influisce così tanto anche sulle moto?
«Diciamo così: nel mondo delle auto tra una vettura con una aerodinamica sofistica ed una trascurata può esserci anche una differenza di secondi sul giro, invece nel caso della MotoGP c’è qualche decimo. Però quei decimi, se moltiplicati per una ventina di giri, fanno comunque la differenza magari tra un primo ed un quarto posto. Quindi: sulle moto non fa tutta la differenza che fa in altri ambiti, come le quattro ruote, ma è comunque apprezzabile. Detto questo, è vero che l’aerodinamica applicata alle moto è un po’ una brutta bestia, per via delle incognite che ci sono».
Qual è la maggiore?
«Il pilota. Su una moto, il pilota influisce non solo perché guida ma anche a livello aerodinamico, visto che non sta fermo. Quindi cambia la dinamicità del veicolo in movimento».
Parlare di aerodinamica nel 2021 non è più solo questione di “ali”, giusto?
«Io parlo per Ducati, ovviamente. Noi abbiamo iniziato con uno sviluppo metodologico, cioè come vero e proprio approccio alla aerodinamica. Quindi, sì, non è solo una questione di sviluppare delle appendici alari. Abbiamo creato le basi per poter studiare l’aerodinamica in generale, quindi non soltanto aerodinamica “fredda” ma anche studio dei flussi termici. Questo, inizialmente, ci ha portato allo sviluppo delle appendici; poi, con la base già esistente, ci si può applicare allo studio dell’intero veicolo ed è quello che stiamo facendo. Abbiamo mantenuto gli studi sull’appendice aerodinamica, ma abbiamo anche iniziato a studiare cosa c’è intorno».
Cioè state studiando altre parti del veicolo.
«Per forza. In F1 ci sono delle revisioni abbastanza significative dei regolamenti, invece non è così in MotoGP: quindi si arriva un po’ a plafonare per quanto riguarda la parte più visibile delle appendici. Il limite oggettivo è che non ci si può spingere ad ottimizzare particolarmente una sola condizione del veicolo, perché poi bisogna fare i conti con altre situazioni: curva, frenata, cambi di direzione, ecc…».
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