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TRATTO DA SLICK #21 – Come una magia: la storia della Ducati 916

Fabio Taglioni dettò le linee guida ai suoi collaboratori: il motore doveva avere due cilindri con schema a L, la testata a due valvole, il sistema desmodromico, il raffreddamento ad aria. Così nacque il progetto Pantah, nel 1979. E fu pensato bene: aveva una struttura modulare, perciò la cilindrata poteva aumentare modificando solo il gruppo termico, senza intervenire sui carter. Quel motore poteva essere montato su tutta la gamma, cambiando la cilindrata. Dal punto di vista dell’ottimizzazione dei costi e della produzione si trattò di un’idea intelligente.
Ecco, questo è un passaggio di notevole rilievo: il concetto di motore modulare fa parte del pragmatismo – dover fare molto con poche risorse – che Fabio Taglioni ha trasmesso ai suoi collaboratori diventando, generazione dopo generazione, una componente della cultura Ducati. Almeno fino a quando non è entrata nel mondo dell’Audi. Ed è seguendo questa via che Massimo Bordi arrivò a realizzare, insieme ai suoi collaboratori, il motore che ha raccolto l’eredità del Pantah e della successiva 750 F1.

Il Pantah bicilindrico di 498cc ebbe un buon successo al punto che in seguito vennero realizzate le versioni di 350 e 600cc. Tuttavia nemmeno questa reazione convinse la VM Motori a cambiare idea: la Ducati pareva destinata a rimanere un produttore di motori per aziende terze. Ma tutto cambiò nei primi anni Ottanta, quando i fratelli Castiglioni cominciarono a considerare l’acquisto della Ducati. E l’IRI, che non aveva particolare interesse a trattenerla, fissò un prezzo così appetibile che l’affare andò in porto agevolmente. Il Presidente dell’IRI, in quel periodo, era Romano Prodi.

La Cagiva dei fratelli Castiglioni non arrivava dal nulla: c’era già un accordo per la fornitura di motori per alcuni modelli Cagiva, Elefant e la Ala Azzurra. Ma tra il 1983 e il 1984 i fratelli Castiglioni avevano cominciato a pensare alla Ducati come una fabbrica in grado di trasformarsi in un brand autonomo e quello fu un momento di svolta: i Castiglioni avevano infatti raggiunto un accordo con Massimo Tamburini, che alla fine del 1983 aveva lasciato la Bimota.
Appena arrivati, nel 1985, i Castiglioni decisero di realizzare subito una replica stradale della 750 che veniva schierata nel campionato TT (quello che sarebbe diventato il Mondiale Superbike) dunque nacque la Ducati 750 F1 con motore Pantah 650 maggiorato.
Questo progetto fu il primo segnale che la nuova Proprietà voleva dare al mercato: la Ducati si stava riorganizzando. Ovviamente non poteva bastare, infatti nel 1985 Claudio Castiglioni si confrontò con il responsabile tecnico, Massimo Bordi, e il responsabile del design, Massimo Tamburini, chiedendo un progetto nuovo. Ecco, la Ducati 916 ha la sua origine in quel periodo: perché lì vennero gettate le basi per il motore Desmoquattro.

L’IMPORTANZA DEL MOTORE

Oggi fa persino sorridere ripensare al percorso che portò al progetto Desmoquattro. Appare ovvio che la testata a 4 valvole rappresentasse un grande passo in avanti, per l’intera produzione Ducati, eppure all’epoca a Borgo Panigale non la pensavano tutti così. E fra questi c’era Fabio Taglioni. Infatti all’interno dell’ufficio tecnico – l’R&D di quel periodo – si accese un confronto ad alto livello: da una parte c’era il veterano, Taglioni, che difendeva il suo 2 valvole, dall’altra parte c’era il giovane in ascesa, Bordi, convinto insieme al suo gruppo di tecnici della bontà della testata a 4 valvole. Dunque tra il 1985 e la prima parte del 1986, in Ducati, si scatenò la resa dei conti tra gli ortodossi del 2 valvole e gli innovatori del 4 valvole.
Il vecchio Taglioni era certo: «Due, non una di più!». Il giovane Bordi non aveva dubbi: «Il futuro è 4!». Aveva ragione il più giovane ma, come accade spesso, la controversia venne risolta da una minaccia che arrivò dall’esterno: gli ingegneri in conflitto scoprirono che, mentre loro dibattevano su questioni tecniche, tra i dirigenti c’era chi voleva fare realizzare esternamente un motore 4 valvole ma senza il sistema desmodromico. Questo fece inorridire Taglioni e allarmare Bordi, perché l’unica soluzione sulla quale i due erano d’accordo era l’utilizzo del sistema Desmo.
Così i litiganti smisero di litigare, venne formato un piccolo gruppo che, restando abbastanza coperto, passò all’azione. Sotto la supervisione di Bordi, ci fu chi si mise a disegnare il nuovo motore a casa, per non fare capire cosa stava accadendo, ed è così che vennero fuori i disegni del bicilindrico che andò ad equipaggiare una inedita 748 i.e. Cioè la moto laboratorio nel 1986 partecipò al Bol d’Or. E fu un altro momento fondamentale nella storia della Ducati.

VERSO IL FUTURO

Anche il nuovo bicilindrico proveniva dalla stessa famiglia: un po’ perché non c’era denaro da buttare, inoltre Bordi ebbe l’accortezza di non cancellare ciò che era stato fatto prima. Sviluppò il nuovo motore partendo dalla sua origine – la testa a 2 valvole di Taglioni – rendendolo moderno. Lasciò immutato lo schema a L e mantenne il sistema desmodromico introducendo la testata a quattro valvole, il raffreddamento ad acqua, il sistema ad iniezione (realizzato dalla Weber Marelli). Fu l’inizio di un percorso clamoroso: da lì nacque il progetto 851 (derivato dalla 748 i.e. quindi ultimato a metà del 1987) da cui derivò la 888. E infine, la 916.
Dal punto di vista tecnico, si dovette trovare il modo di far convivere 4 valvole e la distribuzione desmodromica all’interno della testata. Quattro valvole per cilindro è una soluzione che impose il posizionamento della candela nel centro, ma in questo modo sembrava non rimanesse più lo spazio per alloggiare il Desmo. Il problema venne risolto così: la canna all’interno della quale è alloggiata la candela venne utilizzata come supporto per i bilancieri.

Da giovane Massimo Bordi aveva due progetti di riferimento. Il primo era il motore Cosworth 4 valvole (un 8 cilindri che all’epoca poteva competere con il Ferrari a 12 cilindri) di cui ammirava l’efficienza (considerando il punto di vista ingegneristico). La sua spiegazione fu questa: «Le prestazioni del Cosworth erano dovute principalmente ai pistoni piatti, all’angolo molto stretto tra le valvole, al collettore di aspirazione dritto e in Formula 1 il motore in passato era a 2 e poi a 3 valvole. In un motore a 2 o 3 valvole la candela di solito non è nella posizione giusta, mentre nel 4 valvole si trova esattamente al centro, in modo che la combustione sia nelle condizioni migliori per ottenere prestazioni più rapide. Il mio obiettivo era quindi quello di avere un 4 valvole con il controllo desmodromico. Mi piaceva molto la soluzione Desmo a 2 valvole di Taglioni, dunque la mia idea fu una combinazione di queste due soluzioni».
Realizzò il motore Desmoquattro scegliendo un angolo di 40 gradi tra le valvole. Ma soprattutto, fu uno dei primi motori da moto caratterizzato da un sistema ad iniezione avanzato: Bordi si era ispirato infatti al sistema che equipaggiava la Ferrari F40. Il motore all’inizio, in condizioni di esercizio, aveva una potenza di circa 100 CV: da lì, la potenza venne aumentata parallelamente alla cilindrata. Da 748cc si andò  a 851cc, la potenza aumentò a 115 CV.

COL CUORE IN GOLA

Gli studi sulla testata a quattro valvole iniziarono nel settembre del 1985 e nel marzo dell’86 il progetto venne trasferito negli uffici dei modellisti. Settembre, con il Bol d’Or, era molto vicino ma nessuno si demoralizzò. Il gruppo di lavoro smise di considerare i weekend, addirittura c’è chi rinunciò alle ferie di agosto.
La sfida era importante: la Ducati, cioè in realtà un gruppo di ingegneri dell’Ufficio Tecnico, avrebbe schierato in gara il suo primo motore a 4 valvole, ma anche il primo raffreddato ad acqua e con alimentazione ad iniezione elettronica. Era un grosso rischio.
Il motore di 748cc (da cui deriva il nome, 748 i.e.) andò al banco in agosto, rivelando subito una potenza di poco inferiore ai 100 cavalli.

Nei primi giorni di settembre venne riunito una sorta di test team che partì alla volta del Mugello. La 748 i.e. affrontò la prima prova in pista, con Marco Lucchinelli e Franco Farnè. Vista l’innovazione rappresentata dall’alimentazione ad iniziazione, al test parteciparono anche alcuni tecnici della Weber, la fornitrice del sistema: si trattava di un momento importante anche per loro. E c’era anche Fabio Taglioni, che pareva essersi fatto una ragione sulla testa 4V. Era un test senza appello: non c’era tempo per svolgerne un altro, perché il Bol d’Or e Le Castellet erano alle porte: la squadra Ducati partì quindi per la Francia senza sapere cosa aspettarsi. La formazione era formata da Marco Lucchinelli, Virginio Ferrari e Juan Garriga. In gara la 748 i.e. si fermò dopo 13 ore, per la rottura di una biella. E ci rimasero tutti male. Perché tra di loro si dicevano che non sapevano cosa aspettarsi, ma tutti pensavano che avrebbero fatto bella figura.
Però la rinascita della Ducati cominciò da quell’episodio. La débacle si trasformò nei primi passi per il ritorno dell’azienda bolognese alle competizioni in modo diretto. Quella sfida, ma soprattutto lo sforzo per allestire in poco tempo un motore di nuova generazione, non era diretta a conquistare il Bol d’Or. E lo sapevano anche i fratelli Castiglioni.
In quel periodo bisognava prendere una decisione sull’uso della testa a 2 o 4 valvole, in modo da preparare la moto da schierare in un contesto nuovo: il nascente campionato Superbike. Nel 1987 avrebbe debuttato il campionato italiano, nel 1998 il Mondiale. E la Ducati aveva il motore giusto: il 748 i.e. a 4 valvole ad iniezione elettronica, con cilindrata portata a 851 cc.

LA CHIAMARONO 851

Poiché si trattava di andare a sfidare le aziende giapponesi in un intero campionato, cominciò un piano di ottimizzazione del motore.
Tra le prime modifiche, vennero cambiati gli interassi valvole: il diametro passò da 88 a 92. La cilindrata salì a 850,9 cc (con alesaggio e corsa di 92mm x 64 mm), mantenendo il basamento della Pantah 650, modificato sul lato destro per ospitare la pompa dell’acqua. I tecnici riuscirono ad ottenere una potenza di 115 cavalli.

Nel 1987 Marco Lucchinelli vinse a Daytona la Battle of Twin, vestendo una livrea tricolore e il numero di gara 618. È da quel prototipo che nacque la moto con cui la Ducati si schierò al via del Mondiale Superbike nel 1988: la chiamarono 851 (seguendo l’abitudine nata con la 200 Miglia di Imola del 1972, secondo cui le Ducati derivate dalla serie venivano denominate con la cilindrata del motore) e il motivo per cui fu subito in grado di vincere è che il motore Desmoquattro era stato pensato per affrontare sfide agonistiche importanti.

Anno dopo anno, vittoria dopo vittoria, il motore di 851cc venne portato a 888cc (aumentando l’alesaggio da 92 mm a 94 mm) e poi a 916cc (aumentando la corsa da 64 mm a 66 mm), per terminare con la 996cc (con alesaggio di 98 mm) presentata nel 1999.
All’alba del nuovo millennio venne sostituito per fare spazio al progetto Testastretta. La moto nuova, un progetto che tagliò i ponti con la 916 (quindi anche con la 851 e la 888) aveva una cilindrata di 998cc, le valvole vennero avvicinate compattando la testata. A questo nuovo motore lavorò Filippo Preziosi, che di fatto raccolse il testimone di Massimo Bordi. E così questo progetto chiuse un’epoca e ne aprì una nuova: la proprietà della Ducati passò definitivamente alla Texas Pacific Group, Massimo Bordi lasciò la Ducati nel 2000.
Fu un altro periodo di svolta per l’azienda, dalla produzione all’organizzazione, passando per le corse per finire al marketing e alla comunicazione. Il potenziamento del reparto corse, avvenuto con la nascita di Ducati Corse, fu un altro grande passo in avanti. Quello fu il periodo in cui, sotto la guida di Filippo Preziosi, la Ducati realizzò il progetto Desmosedici per debuttare in MotoGP. Appena 14 anni dopo la disfatta di Le Castellet.

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